Ma sta davvero cambiando la formazione aziendale? Un’indagine condotta da Aberdeen Group ci dice di sì e anche di più: le aziende che hanno cominciato a ripensare la formazione in modo social risultano più competitive rispetto a quelle che rimangono legate alla formazione tradizionale.
Quali esigenze formative hanno le aziende
Lo studio che abbiamo citato muove dall’analisi delle attuali esigenze formative delle aziende. Ne sono emerse tre criticità percepite come le più urgenti:
- la generale carenza di leadership, e di competenze di leadership, nelle figure professionali
- la crescente importanza di svolgere il proprio lavoro con maggiore agilità
- la necessità di formare personale distribuito in aree geografiche diverse.
Queste esigenze spingono le aziende ad adottare nuove modalità di erogazione della formazione (online, mobile eccetera) e a guardare con attenzione ai modelli di social learning e collaborativi.
Al centro le tecnologie
È cambiato il modo di apprendere: da formale e strutturato a informale e sociale.
Sono cambiati gli obiettivi formativi: non si punta più sull’acquisizione di conoscenze e competenze ma sullo sviluppo del dipendente, uno sviluppo il più possibile funzionale al successo dell’organizzazione.
Ed è cambiato il modo di pensare le strategie: le strategie di business e le strategie formative convergono.
Questo cambiamento ha come centro propulsore le nuove tecnologie. Dispositivi ‘indossabili’, simulazione e realtà virtuale, gamification e social network sites permettono di interagire con esperti e colleghi al bisogno, aumentando le opportunità di formazione ‘informale’ (quello che serve, quando serve).
Il modello di formazione 70:20:10
È una rivoluzione che coinvolge le nuove forme di apprendimento, le tecnologie, le strategie aziendali. Una rivoluzione che impone di ridefinire la gestione dei dipendenti: incoraggiare la creatività, l’innovazione e la sperimentazione dall’interno per poter riuscire competitivi.
Il modello di formazione aziendale che fa da riferimento al nuovo scenario è il cosiddetto 70:20:10.
Che non è una novità. Questo modello nasce attorno alla metà degli anni ’80 e ci dice che la maggior parte della formazione avviene nel contesto lavorativo, in modo informale e sociale, piuttosto che in contesti formativi formali e tradizionali.
Il modello definisce tre categorie e altrettante quote-tempo di formazione:
- il 70% è apprendimento informale, in ambiente lavorativo, basato sull’esperienza
- il 20% è costituito da attività di affiancamento, coaching e mentoring
- il 10% è dato dalla formazione formale e dai corsi strutturati.
Così come si presenta il modello 70:20:10 ci pone oggi non pochi problemi di fattibilità, soprattutto perché le linee di demarcazione tra le tre categorie sono nei fatti molto più sfumate e legate alla diversità dei contesti di riferimento.
Il nuovo modello 70:20:10
L’indagine del gruppo Aberdeen ha corretto questo modello ampliando la quota social dell’apprendimento.
Le categorie individuate sono quattro anziché tre:
- esperienziale
- referenziale
- relazionale
- formale.
La formazione social è ripartita tra quella referenziale e quella relazionale per una quota-tempo del 35%.
La formazione esperienziale (40%) è quella maturata sul lavoro. Oltre a ciò che si apprende svolgendo le proprie mansioni, include anche la formazione ottenuta da attività diverse: macro-progetti e progetti collaborativi, progetti interfunzionali, interazioni con i clienti, rotazione delle mansioni.
La formazione referenziale (17,5%) è costituita da feedback, coaching e mentoring di manager o leader.
La formazione relazionale (17,5%) deriva dal contatto con manager e pari in contesti sociali e partecipativi: per esempio le comunità di pratica, la condivisione di conoscenze, la collaborazione, i social network e altre attività social.
Infine la formazione formale (25%) è costituita da corsi tradizionali e contenuti prescritti, in aula oppure online.
Ma l’indagine Aberdeen ci dice anche che la percentuale di ciascuna categoria varia a seconda della persona: per esempio un neolaureato avrà più bisogno di formazione informale fatta sul campo rispetto a un dirigente affermato di medio livello.
Alcune conclusioni
Al netto delle interpretazioni del modello 70:20:10, è ormai assodato che l’apprendimento avviene attraverso un mix di formale e informale e che è sulla quota informale che occorre investire di più.
Infatti, sempre secondo l’indagine Aberdeen, le migliori organizzazioni – cioè quelle meglio posizionate sul mercato – riconoscono che è importante
- adottare canali formativi diversi (just- in-time, social e informale)
- dare continuità alla formazione e renderla facilmente accessibile a tutti
- progettare e costruire i corsi in modo diverso per integrare i nuovi strumenti disponibili.
Le aziende top dunque investono molto nella formazione e in modo più lungimirante: scelgono di sfruttare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (a partire dalla scelta di LMS capaci di integrare formazione social e formale) e di utilizzare modalità differenti di accesso e di erogazione (contenuti in formato video, portali formativi self-service per i dipendenti, microlearning, simulazione e role-play).
Siamo entrati nell’era della formazione 3.0: apprendiamo soprattutto con la condivisione e la collaborazione. E per le organizzazioni il focus non è più il singolo dipendente ma l’intera comunità aziendale.
[…] abbiamo già visto nel precedente articolo, è cambiato lo […]